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AVVOCATO DIRITTO PENALE
AVVOCATO ALESSANDRA SILVESTRI
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Foto di Lorenzo Scaccini

Profili processuali e normative comunitarie

30/04/2015

Regime delle nullità e mancata traduzione degli atti per indagato di cittadinanza straniera

A seguito della notifica a una propria assistita (di etnia cinese) di un avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis c.p.p., questa Difesa procedeva nel corso dell’udienza preliminare a eccepire in via preliminare la nullità di tale avviso e, conseguentemente, della richiesta di rinvio a giudizio, per mancata traduzione.

La Difesa ha, sul punto, diffusamente motivato: la nullità dei già citati atti (ivi compreso il verbale di elezione di domicilio), inquadrata tra quelle a regime intermedio, palesa in sé una violazione del diritto di difesa. Tale principio è stato riconosciuto da univoca giurisprudenza della Suprema Corte, che ha a sua volta progressivamente attuato gli orientamenti della Corte costituzionale nonché del dettato CEDU.

Oggi come noto il principio è scolpito nell’art. 143 c.p.p. novellato dal d. lgs. 32/2014.




Avviso di conclusione indagini preliminari
29/04/2015

Ne bis in idem e garanzie processuali

Divieto del doppio giudizio (art. 649 c.p.p.) tra giurisdizione italiana ed europea

La Difesa ha proposto ricorso per cassazione avverso la condanna inflitta in appello (in riforma di quella già irrogata in primo grado) a un proprio assistito per concorso nei reati di cui agli artt. 648 e 497 c.p.

All’origine del caso vi erano condotte a loro volta oggetto di autonoma – ma parallela – imputazione in Italia e in Svizzera, la quale veniva così a configurare una duplicazione di pretese punitive a carico del medesimo soggetto agente. Il problema – sollevato dalla Difesa dinnanzi alla Suprema Corte – verte quindi sull’applicazione del principio del ne bis in idem internazionale (ritenuto non applicabile nei precedenti gradi di giudizio)e quindi sull’interpretazione del divieto di doppio giudizio incastonato dall’art. 649 c.p.p.

Si legge infatti nel ricorso che la «Corte d’Appello, nella sentenza che qui si impugna, ha ritenuto inapplicabile il principio del “ne bis in idem internazionale” valutando che, nel caso in esame, non fosse ravvisabile quella corrispondenza biunivoca degli elementi costitutivi dei reati descritti nelle rispettive contestazioni (formulate dalla A.G. elvetica ed italiana), tale da integrare l’idem factum previsto dall’art. 649 c.p.p., presupposto logico del principio generale, individuando, per contro, un concorso formale eterogeneo di reati».

Molteplici – come risulta dal ricorso allegato – sono stati pertanto gli argomenti coinvolti: l’interpretazione delle norme processuali (segnatamente, la nozione di idem factum scolpita all’art. 649 c.p.p.), l’interpretazione delle norme comunitarie e della CEDU, il recepimento della giurisprudenza da quest’ultima derivante, il ruolo concettuale e materiale della giurisprudenza costituzionale, a far data – come noto – dalle celeberrime sentenze 348 e 349 del 2007.

Un problema peculiare del caso trattato è costituito infatti dall’interazione tra la fattispecie di “atti preparatori punibili”, prevista dal Codice penale elvetico, e la disciplina del concorso formale di reati: la Difesa ha eccepito come gli “atti” isolati e separatamente puniti dalla fattispecie elvetica, essendo cooptati poi invece all’interno del reato previsto dalla legge domestica, finiscano per ridondare a svantaggio dell’imputato, producendo una duplicazione di istanze punitive che insistono sul medesimo fatto. La disciplina del divieto di doppio giudizio deve essere estesa anche alla fattispecie del concorso formale di reati, poiché a quest’ultima, da considerarsi quale unità fattuale e materiale, devono essere estesi i principi elaborati anche dalla giurisprudenza della Corte Europea.

La questione appare di indubbio e attuale rilievo e il ricorso proposto dalla Difesa ha offerto, in tal senso, un’ampia e articolata ricostruzione delle posizioni di dottrina e giurisprudenza, alla luce della normativa internazionale, il cui richiamo risulta, in materia, ormai ineludibile.




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