Delitti contro la persona

16/01/2025

Omicidio della anziana madre malata e non autosufficiente a seguito della decisione di suicidarsi.Sussistono ragioni di pietà?

E’ possibile ipotizzare la concessione dell’attenuante dei motivi di particolare valore morare e sociale per mitigare la pena?

E’ questo un caso recentemente affrontato dal mio studio e relativo ad un fatto molto peculiare: il mio assistito, deciso a porre fine alla propria vita, per non lasciare sola la anziana madre, allettata da anni, sofferente e affetta da una grave malattia degenerativa, prima di compiete l’insano gesto nei propri confronti, poneva fine alla vita della madre con modalità tali da evitarle la sofferenza per il trapasso. Sventato il suicidio da pronti ed efficaci soccorsi, veniva arrestato e giudicato per omicidio.

Non essendo in discussione la responsabilità, pacificamente ammessa e spiegata dall’imputato, il focus del caso atteneva alla quantificazione della pena ed al riconoscimento, o meno, dell’attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale, di cui si chiedeva l’applicazione rifacendosi ad un interpretazione fornita nella Relazione al Progetto definitivo del codice penale del 1929 se ragioni di pietà, oltre il consenso, concorrano come moventi del delitto, il sistema comporta che si applichi un'ulteriore attenuante, ossia quella comune stabilita nel n. 1 dell'art. 66 (= art. 62). Considerazione quest'ultima che vale a chiarire, come anche l'ipotesi di un omicidio non consentito dalla vittima possa, in qualche modo, venir punito meno gravemente, allorché sia ispirato da motivi di pietà” 

La Corte di Assise, in entrambi i gradi di giudizio, ha escluso che potesse ricorre questa attenuante, non essendo, la condotta tenuta dall’imputato, sorretta da una approvazione del comune sentire.

La sentenza è ormai definitiva e il mio assistito la sta scontando consapevole della gravità di quanto commesso.

Ciò nonostante, a mio parere, resta irrisolto il quesito su quanto sia giusto pagare per una condotta come questa.

 Se qualcuno si è mai occupato di un malato terminale o di un malato affetto da patologia degenerativa (come è il morbo di Alzheimer di cui era affetta la vittima) e ne ha mai avuto l’esclusiva cura, dove per esclusiva si intende senza supporto, SENZA PAUSE, senza aiuto, penso possa comprendere quanto questo sia alienante e logorante.  

Se quel malato, poi, è un parente stretto (strettissimo in questo caso) che nemmeno riconosce più suo figlio, che nemmeno è in grado di adempiere autonomamente alle più banali cure del proprio corpo, della propria igiene e dei propri bisogni, quel logorante diventa devastante.  

E se, la persona stessa che se ne occupa è, a sua volta, malata, in questo caso mentalmente, affetta da una patologia, quale è la depressione maggiore, che impedisce di pensare e di agire lucidamente, quel devastante diventa BUIO, buio totale.  E nessuno di noi è in grado di camminare nella giusta direzione al buio, ammettiamolo.

 Ed allora, se il focus per comminare una pena equa risiede nell’indagine e valorizzazione dei motivi a delinquere del reo, non poteva essere questo il caso in cui utilizzare l’attenuante per modulare la pena in modo confacente al caso concreto?




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